Il termine autoctono deriva dal greco autòs (stesso) e chthòn (suolo/terra) ed indica dunque l’appartenenza di qualcosa o di qualcuno ad un luogo.
Se parliamo di uva, il termine autoctono si usa per riferirsi ad un vitigno che si è sviluppato in un preciso luogo geografico, adattandosi al territorio che lo ha ospitato fin quasi a fondersi con esso.
Per vitigno autoctono intendiamo, quindi, una particolare varietà di vite che viene coltivata e diffusa nella stessa zona storica e dunque una varietà non trapiantata da altre aree ma originaria della stessa area in cui viene coltivata per produrre il vino.
Un vitigno autoctono viene considerato tale quando, proprio grazie alle modificazioni derivanti dal territorio in cui è stato anticamente impiantato, assorbe determinate caratteristiche tipiche di quella terra, rendendolo unico.
Ogni vitigno autoctono ha determinate caratteristiche distintive in quanto a forma e dimensione delle foglie, del colore dell’acino, della grandezza del grappolo e per le peculiarità che conferisce al vino.
L’Italia è uno dei territori con più vini autoctoni: vanta, infatti, un patrimonio costituito da oltre un centinaio di uve autoctone di consolidata tradizione, alcune molto conosciute altre meno, che danno vita a vini con caratteristiche organolettiche uniche e tra le centinaia di varietà presenti, troviamo il Carricante e il Sagrantino.
Il Carricante, il cui nome sembra le sia stato attribuito dai viticoltori di un paesino in provincia di Catania a causa della sua abbondante produzione che “riempiva il carro”, è il vitigno a bacca bianca più diffuso della provincia di Catania, autoctono dell’Etna.
Fino al secolo scorso veniva coltivato in tutta l’isola ma in seguito la tendenza a puntare sulla produzione di vini rossi più strutturati e alcolici, ha spinto i produttori a ridurne la coltivazione e oggi si coltiva quasi esclusivamente nella parte più alta della regione etnea e in piccole quantità nel ragusano.
Il Carricante nasce su un terreno strettamente vulcanico formato da sgretolamenti di diversi tipi di lava e da materiali eruttivi più recenti come i lapilli, la cenere e le sabbie.
Si presenta con un grappolo medio e conico, così come l’acino che ha un colore verde-giallastro e un sapore semplice e dolce.
La sua maturazione tardiva dà origini a grandi vini bianchi di inaspettata durata in cui sono prevalenti sensazioni olfattive di zagara, ovvero i fiori degli alberi di agrumi come il limone, l’arancio o il bergamotto, mela e anice risultando così al palato fragrante e floreale.
Il Sagrantino è un vino autoctono della zona di Montefalco e di altri piccoli territori della provincia di Perugia.
Le sue origini si perdono nel tempo e su di esse conosciamo almeno due teorie; secondo alcune fonti, infatti, il Sagrantino sarebbe originario dell’Asia Minore e sarebbe stato importato dai monaci al rientro dalla Terra Santa; per altri, invece, sarebbe stato già presente nella zona fin dai tempi dei romani.
L’evoluzione della sua storia nei territori di Montefalco e limitrofi è comunque legata all’importanza delle comunità religiose in Umbria e anche il suo nome, infatti, sembra faccia riferimento al suo uso sacro durante le funzioni religiose o al termine “sagrestia”, ovvero i locali per il clero annessi alle chiese cattoliche.
Il Sagrantino nasce come vino rustico ma la crescente notorietà lo porta a ricoprire il ruolo di grande vino rosso.
La sua grande struttura e le sue intense note fruttate lo portano ad essere uno dei vini autoctoni italiani più apprezzati nei mercati internazionali.
Si riconosce per la sua grande intensità e per la sua capacità di invecchiamento ed essendo una delle varietà più tanniche al mondo, dà origine a un vino dal colore rosso rubino, al palato caldo, speziato e tannico con note olfattive di cannella, frutti rossi e terra.
I vini autoctoni come i due sopra indicati sono sempre più apprezzati da intenditori e amanti del vino che ricercano oltre l’eccellenza dei vini anche le caratteristiche particolari e del territorio che un vino autoctono offre.

Eleonora Catanzaro