La medicina di genere ha bisogno di risposte adeguate
Oltre al sistema immunitario, anche le malattie cardiache e quelle oncologiche si differenziano nei due sessi. E per migliorare le cure bisogna studiare queste differenze. La pandemia che stiamo vivendo ha riportato in primo piano l’importanza della “medicina di genere”. Vale a dire in questo caso la differenza di reazione degli uomini e delle donne di fronte a un’infezione: sintomatologia, reazione ai farmaci, maggiore o minore risposta del sistema immunitario. Differenza che – come ormai si sa da tempo – riguarda qualsiasi tipo di patologia: oncologica cardiovascolare, neurologica, e così via. A questo proposito, in Italia, il 13 giugno 2019, il Ministero della Salute ha approvato un piano per l’applicazione e la diffusione della medicina di genere sul territorio nazionale. Il nostro Paese è stato il primo in Europa a formalizzare il concetto di “genere” in medicina, indispensabile a garantire a ogni persona la cura migliore, rispettando le differenze e arrivando a una effettiva “personalizzazione delle terapie”. Nonostante questo però, ancora oggi, studio e sperimentazione dei farmaci si fanno fondamentalmente non solo su uomini ma anche – in laboratorio – su animali di sesso maschile. Eppure, tanto per fare un esempio, è noto che il sistema immunitario funziona diversamente nei due sessi tanto che ci sono differenze importanti nella frequenza di molte malattie autoimmuni e allergiche. C’è da dire – per correttezza – che da tempo i ricercatori stanno lavorando alacremente per capire in che modo questo influenzi l’efficacia dell’immunoterapia. Questione tuttora aperta.Il Piano del Ministero, prodotto congiuntamente con il Centro di riferimento per la medicina di genere dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), con l’Agenzia italiana del farmaco (AIFA) e l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas), prevede quattro aree di intervento: 1) percorsi clinici di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione; 2) ricerca e innovazione; 3) formazione; 4) comunicazione. Tornando all’attualità, come ha spiegato la dottoressa Barbara Garavaglia, presidente CUG, Comitato Unico di Garanzia (http://www.unife.it/progetto/cug/cose-il-cug), dell’Istituto Besta (https://www.istituto-besta.it), che fa parte degli esperti referenti del tavolo IRCCS per la medicina di genere istituito dal Ministero della Salute “le implicazioni della medicina di genere si sono rivelate centrali nell’ambito dell’epidemia da SARS-CoV-2. Questa infezione ha manifestato un’ampia suscettibilità riferibile al genere e che ha riguardato, tra gli altri, la prevalenza, la severità e la mortalità”. Dunque molta strada è stata fatta per realizzare la “medicina di genere” ma molto c’è ancora da studiare. Tra i tanti esempi, le differenti conseguenze dell’inquinamento ambientale sulla salute dell’uomo e su quella della donna; oppure il rilievo che uguali stili di vita hanno fatto emergere un diverso impatto per quanto riguarda il cancro del colon. Per non parlare di una delle prime conoscenze acquisite in questo campo: le differenti sintomatologie tra uomo e donna in caso di attacco cardiaco. Per questo vanno studiate strategie di prevenzione e cura più appropriate a seconda del sesso. E poi c’è ancora da gestire il grande capitolo della sensibilizzazione dei medici. L’Istituto Superiore di Sanità, intanto, ha anche aperto un “portale dedicato” e continua a fare ricerca e informazione (https://www.iss.it/centro-di-riferimento-per-la-medicina-di-genere, https://www.iss.it/genere-e-salute). La via del futuro ormai è tracciata ed è quella che porterà a una medicina sempre più personalizzata e quindi più specifica ed efficace.