I riflessi africani della guerra in Ucraina
Guerra in Ucraina. Le cronache delle operazioni militari si alternano alle notizie sui silos di grano ucraino pronto per un’esportazione che la guerra impedisce. Tutti parlano del grano. E, anzi, l’approvvigionamento del grano sta diventando una sorta di cartina da tornasole dei sentimenti democratici dei leader europei. Visto che la tregua non si riesce ancora ad ottenere al tavolo delle trattative, tanto vale cercare organizzare le esportazioni di grano che rischiano di ridurre alla fame molte popolazioni del Sud del mondo e di mettere in ginocchio le economie di molti di quei paesi. Putin continua a dare assicurazioni sulla sua volontà di sminare i porti dagli ordigni messi dagli ucraini per impedire l’accesso alle sue navi; vuole farlo per non passare come l’affamatore dei Paesi del Terzo mondo e di molti in via di sviluppo ma gli ucraini temono che questa decisione sia un Cavallo di Troia con cui i russi potrebbero allargare e consolidare l’invasione iniziata il 24 febbraio 2022 (https://www.ilmessaggero.it/video/mondo/ucraina_l_inizio_dell_invasione_russa_il_24_febbraio_in_crimea-6584478.html). E intanto i silos, che contengono il 70% del grano ucraino destinato all’importazione, sono strapieni e nessuno sa come far arrivare quel grano dal Mar Nero ai porti nel Mediterraneo. I primi ministri europei vanno in processione a Mosca perché, dicono, i paesi arabi non potrebbero sopportare a lungo la mancanza di quel rifornimento vitale. Tutti ricordano ancora che l’unica sommossa contro Bourguiba avvenne nel dicembre 1983 (https://it.frwiki.wiki/wiki/Émeutes_du_pain) perché la baguette arrivò a costare qualche centesimo in più e la base del nutrimento tunisino divenne più caro. In Europa la questione del grano ucraino ai magrebini interessa anche (e forse soprattutto) perché la fame potrebbe spingere moli altri disgraziati a tentare di approdare a qualunque costo sulle coste siciliane e quindi europee. Senza contare poi che non soltanto l’Africa affacciata sul Mediterraneo è minacciata dai pericoli di questa guerra. Superato l’Equatore in direzione Sud, infatti, grandi distese di terra non sono bagnate dalla pioggia da due anni. Persino i cuccioli degli animali selvatici più resistenti alle avversità climatiche stanno morendo. Le carcasse di chi ha ceduto alla sete punteggiano le strade che portano ad Addis Abeba o a Dar Es Salam. I villaggi dell’interno sono alla disperazione. Le donne si caricano i figli sulla schiena e vagano alla ricerca del primo presidio della Croce Rossa all’orizzonte. Soltanto lì qualcuno potrà prendersi cura di loro. L’Africa è chiusa in una tenaglia. Non basta certo garantire una scorta di grano per salvare quelli che hanno fame. Bisognerebbe fare anche piccoli (per noi) investimenti in tubature e dighe per garantire l’acqua con cui fronteggiare lunghi periodi di siccità. In questo modo anche le colture diventerebbero redditizie. E basterebbe poi abbassare i tassi doganali per consentire le esportazioni dei prodotti agricoli di quei paesi, visto che il 70 per cento della ricchezza africana sta nell’agricoltura. Ma il profitto regola tutti gli scambi economici e soprattutto con i paesi ricchi: Usa in testa. E allora? Come si vede non sono soltanto i paesi arabi dell’Africa a rischiare per fame il loro futuro perché Putin blocca i rifornimenti di grano. È l’Africa nel suo complesso a rischiare di spegnersi senza interventi specifici effettuati in modo continuativo. La sensibilità democratica dovrebbe suggerire questo ai leader europei: in questo contesto Putin è soltanto uno dei problemi e i corridoi per l’arrivo del grano ucraino pure. La guerra si concluderà, ma l’Africa morirà di sete se non si interviene subito e in modo efficace. Fame al Nord, fame e sete in quasi tutto il resto dell’Africa… e intanto sempre più gente continuerà a cercare approdi sulle coste siciliane. Antonella Fantò