Cattura la vista, l’olfatto e il gusto e ci racconta anche la nostra storia e quella del cin cin: il vino. Quando si degusta un vino sembra godere ogni senso, tranne l’udito.
Ne gode la vista: veniamo attirati immediatamente dal suo colore e dalle sue tonalità più o meno intense o cangianti. Poi valutiamo limpidezza, trasparenza, persino l’effervescenza se si tratta di uno spumante: i nostri occhi sono attratti magneticamente dalle file verticali di bollicine che si sprigionano dal basso verso l’alto, il perlage.
Con un bicchiere in mano subito dopo si gratifica l’olfatto che è pronto a cogliere la complessità dei profumi, che costituiscono il suo bouquet: sentori di frutta, oppure di sottobosco, a volte di liquirizia, richiami olfattivi più o meno marcati di un fiore, come il geranio o l’acacia. E tanto altro ancora.
Non meno felicemente sollecitato è il gusto che, per molti versi, risulta decisivo nella valutazione complessiva di una bottiglia. Quando assaggiamo il vino, sia per degustarlo con amici, magari davanti ad un camino acceso, sia a tavola, anche soltanto per ripulire la bocca tra una portata e l’altra, le percezioni e le sensazioni sono sempre molteplici. E crescono con l’esperienza: trattenendo in bocca il sorso si arriva a selezionare il responso delle papille gustative che sono posizionate in parti diverse sulla lingua. Così potremo focalizzare la nostra percezione gustativa arrivando a scoprire in prevalenza il livello di acidità di un prodotto, poi gli eventuali retrogusti di salato o il tenore zuccherino di un vino dolce.
Infine il tatto. Tenere in mano un bicchiere significa apprezzare la temperatura del vino che contiene. Se troppo fredda, a volte basta accarezzare il vetro o il cristallo col palmo delle mani per riportarla a livello ottimale. Persino con i bicchieri a stelo il tatto viene sollecitato a ricercare il piacere: a volte basta stringere lo stelo con tre dita, impegnarle delicatamente e lentamente nella rotazione di un calice per far scattare una magia che può addirittura rinforzare le sensazioni piacevoli già provate con gli altri sensi.
Soltanto l’udito non è ancora stato chiamato all’appello: serve un tintinnio, un rumore che ricordi un suono di tonalità non aggressiva perché anche l’ultimo senso completi l’offerta di piacere intenso che questo nobile alimento sa donare. Siamo arrivati al “cin cin”, il suono emesso dai bicchieri che si avvicinano e quasi, con delicatezza, si baciano, dopo aver sollecitato il tatto, la vista, l’odorato e prima di deliziare il gusto.
Ma la storia del brindisi non è sempre stata esercizio di raffinatezza, eleganza, gioia di vivere… Se ritorniamo ai tempi degli Antichi Romani, per esempio, l’aspetto più importante del brindisi non era certamente il suono prodotto dal “cin cin”. Il vino veniva in genere consumato in piccoli recipienti di coccio: il vetro era più prezioso dell’argento e infatti, come esercizio di eleganza e dimostrazione di potere, nei convivi più sfarzosi si usavano calici d’argento. Ma l’uso di far collidere due tazze o due bicchieri facendo rumore forse nasce proprio in epoca romana. Per far rumore con due ciotole o tazze di coccio occorreva un contatto molto energico; il movimento provocava la fuoriuscita del vino che si mischiava con quello dell’altro ospite impegnato nel brindisi e questo… poteva salvare la vita: del resto si usava molto, avvelenare le persone offrendo loro del vino. Spesso il veleno poteva essere nascosto nei grandi anelli in uso in quei tempi. Era facile, per un’esperta mano omicida far cadere il veleno dall’anello direttamente nel bicchiere dell’ospite…e il gioco era fatto. Ma il “cin cin”, faceva inevitabilmente traboccare il vino da un bicchiere all’altro mischiando il vino avvelenato con quello dell’avvelenatore: proprio per questo il brindisi costituiva un deterrente… salvavita.
Avremo modo di approfondire questo aspetto come tante aspetti curiosi e insospettabili legati al mondo del vino. Un mondo affascinante, complesso, infinito.
Intanto, “cin cin”.